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E. Salmeri - Konferencja 111 - Warszawa

Conferenza all'Istituto Italiano di Cultura di Varsavia, Aprile 1986

Edoardo Salmeri, poeta e scrittore, nacque a Villabate, in provincia di Palermo, il 1° Febbraio 1925 da Giacomo, eminente compositore e direttore d’orchestra, e da Maria Porcelli, maestra elementare che si distinse per il suo impegno pedagogico, come testimonia tra l’altro una sua interessante pubblicazione sull’arte di educare i fanciulli. Compiuti gli studi medi e universitari nel capoluogo dell'isola, si laureò in lettere classiche nel 1947. Tenace assertore di nobili ideali, primo fra tutti la giustizia sociale, si dedicò con impegno non comune al perseguimento di essi, traducendoli nella pratica della vita quotidiana che visse sempre con coerenza secondo i dettami della sua coscienza, una coscienza altruistica, sociale, comunitaria.

Pervaso da una profonda ansia di rinnovare la società, da grande sognatore, come lo definivano alcuni, si prefisse il riscatto sociale e intellettuale della comunità villabatese, dedicandosi con fervore all’insegnamento e alla politica.

Giovane laureato, convinto che solo l’emancipazione dall’ignoranza potesse garantire il riscatto sociale, ancor prima di entrare nei ruoli dello Stato, iniziò a insegnare privatamente nel suo paese natale, educando miriadi di giovani ad alti valori civili, etici e sociali. In seguito, continuò ad esercitare la sua attività didattica nella scuola pubblica, dal 1955, anno in cui gli fu conferita la prima cattedra, all’Istituto Magistrale di Petralia Sottana. La sua lunga esperienza d’insegnante, e soprattutto di educatore, si concluse all’Istituto Magistrale M. Serao di Pomigliano d’Arco.

Spinto da amore cristiano verso le classi umili, si diede alla militanza politica, aderendo al Partito comunista, credendo di trovare in esso quel sole dell’avvenire preconizzato dall’Eroe dei due mondi, quel sole che avrebbe illuminato il mondo di nuova luce, portando all’umanità pace e benessere, intesa e fratellanza. Il Salmeri vagheggiava un mondo socialista, cioè un sistema economico-politico basato non sulla lotta di classe, bensì sulla conciliazione delle classi sociali, una democrazia pluralistica non monopolio di questo o quel partito, ma risultato della convergenza di tutte le forze politiche che hanno come fine la realizzazione di una civile convivenza più giusta, più umana, più fraterna. Il suo quindi era un socialismo di indubbia matrice cristiana, tanto è vero che non trovava incompatibile con la sua scelta politica andare in chiesa a fare il suo dovere di cristiano, perché riscontrava una convergenza tra ideali cristiani e marxisti; così come, convinto dello stretto rapporto tra patria e comunismo, non perdeva occasione per inneggiare al Tricolore nelle commemorazioni patriottiche delle ricorrenze nazionali. Il suo sentimento politico si ispirava a Garibaldi, assertore del socialismo ideale, liberale e democratico, che, opponendosi a ogni forma di prevaricazione, aspirava alla fratellanza fra i popoli in un mondo libero non dominato da sentimenti nazionalistici. E al pari di Garibaldi gli ideali della sua vita furono sempre patria e socialismo. Per sentimento patriottico intendeva l’amore della terra in cui si è nati, il desiderio di vederla libera e rispettata, il benessere del suo popolo, tutto ciò nel rispetto dell’altrui libertà, dell’altrui indipendenza, nella mazziniana concezione di un mondo di popoli fratelli, legati dal vincolo della solidarietà, della collaborazione, dell’amicizia. Per socialismo intendeva l’ideale del riscatto sociale, la realizzazione di una società emancipata, libera dal bisogno, basata sulla giustizia e sul diritto alla vita. Amore per la patria, amore per l’umanità: ecco l’ideale di Garibaldi, che il poeta amò fin da fanciullo, portando con sé tutta la vita il suo credo, compendiato in queste due alte aspirazioni. Così, sorretto da questi nobili ideali, si dedicò anima e corpo alla vita politica, sebbene la mafia lo minacciasse apertamente e fosse osteggiato  dalla sua stessa famiglia che, radicata in convinzioni profondamente cattoliche, vedeva nel comunismo un grande pericolo per l’umanità intera. Giova ricordare che la madre era una pia donna di chiesa, che coniugava il suo impegno pedagogico con una condotta esemplare improntata ai più alti valori cristiani, il fratello Vittorio era un sacerdote straordinario che morì, in odor di santità, prematuramente in un incidente stradale, il fratello Vincenzo era un giovane magistrato che un giorno sarebbe diventato famoso per la sua crociata contro il dilagare del malcostume. Il Salmeri, oratore affascinante, con i suoi comizi riusciva a entusiasmare le masse e a suscitare ammirazione persino nei suoi oppositori, e in un breve arco di tempo, raccolse così ampi consensi che nelle elezioni comunali del 1960, la lista comunista da lui costituita, che si presentava con l’effigie di Garibaldi a cavallo, riportò una valanga di voti. Ma man mano che a Villabate il Partito comunista cresceva il Salmeri si rendeva sempre più conto che quel partito non rispondeva agli ideali di giustizia e di libertà che proclamava. La crisi dell’illustre poeta che era cominciata a seguito di spiacevoli episodi e di contrasti con i vertici del Partito si acuiva sempre di più di fronte alla delusione di vedere soffocate nel sangue le legittime aspirazioni alla libertà e alla autodeterminazione del popolo ungherese nel 1956 e di quello cecoslovacco nel 1968. Così il Salmeri, coerentemente con i suoi principi, si dimise, e amareggiato si recò in volontario esilio ad Assisi, nella cui pace cercò di comporre il dissidio interiore che gli lacerava l’anima, cercando rifugio nella poesia.

La poesia fu la sua grande passione, nella quale si cimentò fin dall'adolescenza. Tra gli scritti giovanili figurano due carmi funebri, l'uno per la morte del padre, l'altro per il fratello, il sacerdote Vittorio Salmeri morto, come si è già accennato, prematuramente; entrambi i carmi fanno parte di una raccolta inedita intitolata Salici Piangenti. Ricordiamo inoltre, sempre del periodo giovanile, un canzoniere amoroso inedito, contenente un centinaio di sonetti, dal titolo „Rose del Parnaso”. Scrisse inoltre, negli ultimi anni della sua vita, un saggio di critica estetica dal titolo „Sulle orme di Croce”, e un trattato teologico-filosofico, „Luce sull'assoluto”.

Ma il suo capolavoro è un poema che nell’edizione definitiva porta il titolo “Il Cavaliere dell’Umanità”, un’opera di altissimo valore artistico, pervasa dallo stesso profondo impegno umano, civile e sociale che contraddistinse il poeta nel perseguimento dei suoi nobili scopi.

Affascinato dalla figura di Garibaldi, fin dalla prima giovinezza si dedicò a cantare in versi le gesta dell'Eroe dei due mondi, prefiggendosi di comporre un'opera che, attraverso la celebrazione dell'epopea garibaldina, fosse la glorificazione dell'Italia e del suo risorgimento. Abbozzata l'opera, ancora studente universitario, pensò di sottoporla al giudizio di Benedetto Croce; così, nell'agosto del 1944, giovane di diciannove anni, mentre in Italia imperversava la guerra, attraverso un viaggio avventuroso, si recò a Sorrento, dove si trovava in quel momento il filosofo con la famiglia. Ricevuto con paterna benevolenza dall'illustre critico, rimase suo ospite a Villa del Tritone per più di una settimana e alla fine ottenne il responso: una lettera critica che approvava e lodava la giovanile composizione. Però, in privato l'esperto vegliardo consigliava al Salmeri di seguire il precetto di Orazio. Il poeta ascoltò il consiglio e, lasciati trascorrere i nove anni della prescrizione oraziana, riesumava l'opera. Ormai aveva raggiunto quella maturità artistica e spirituale senza la quale non può nascere una grande opera d'arte, e quando riprese il poema per iniziare il lavoro di lima, si accorse che c'era da demolirlo interamente per ricominciare daccapo. Allora pensò per prima cosa di visitare i luoghi che erano stati teatro delle imprese del Condottiero ligure. Così si recò nell'America del Sud, dove non solo trovò interessanti notizie sulla storia garibaldina, ma si aprì anche ad un'ispirazione poetica più profonda e più viva. A Montevideo, dove rimase tre mesi, il Salmeri iniziava la laboriosa ricomposizione, che doveva durare un trentennio. In tale lavoro lungo e impegnativo lo sorprendeva il centenario dell'epopea dei Mille. Non poteva lasciarsi sfuggire questa rara occasione storica e decideva di pubblicare le parti già pronte. Dovendo giustificare un'opera incompiuta, per consiglio del critico Luigi Russo, la presentava come un poema mutilo, d'autore ignoto, scoperto in Uruguay. Così nel 1960 a Palermo appariva „L'Eroe dei due mondi”, pubblicato dall'editore G. Priulla. Nel 1970, in occasione di un altro importante anniversario, quello della liberazione di Roma e della sua proclamazione a capitale d'Italia, il poema, che intanto si era accresciuto di altri canti, veniva ripubblicato col titolo “Il Poema d'Italia”. Il 22 aprile 1971, a chiusura delle celebrazioni commemorative per l'anniversario di Roma capitale, l'opera veniva presentata in Campidoglio in cerimonia solenne presieduta dal sindaco di Roma Clelio Darida, presenti eminenti personalità del mondo della cultura.

Nel 1982, nel centenario della morte di Garibaldi, è apparsa, in perfetto appuntamento con la storia, l'edizione definitiva dell'opera del Salmeri, in 27.000 versi, che porta il titolo “Il Cavaliere dell'umanità”, un titolo certamente più adeguato alla personalità di un eroe che non fu soltanto il campione dell'indipendenza d'Italia, ma il difensore di tutti, un eroe universale che sognava un mondo di popoli fratelli.

Molti sono stati i riconoscimenti tributati all’Opera del poeta da parte di critici ed esponenti del mondo della cultura e della politica.

Giuseppe Saragat, nel 1970, allora Capo dello Stato, fece pervenire al Salmeri le sue congratulazioni.

Giovanni Spadolini, da Capo del Governo, nel 1981, in una lettera elogiativa ha riconosciuto senza reticenze il valore e l’importanza dell’Opera.

Nel 1983, il poeta è stato insignito, dal presidente della Repubblica Sandro Pertini, della medaglia d’argento ai benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte.

L’opera del Salmeri è stata vivamente apprezzata dalla critica, a cominciare da Benedetto Croce, che attribuisce, tra l’altro, al poema una funzione educativa soprattutto per le giovani generazioni.

Dopo il Croce, l’opera è stata elogiata da altri illustri critici, italiani e stranieri, come Salvatore Comes, Mario Santoro, Giovanni Alfonso Pellegrinetti, Carmelo Cappuccio, Umberto Panozzo, Luigi Russo, Francesco Flora, Bronisław Biliński, Eugeniusz Kabatc, Eugeniusz Łabus, Francois Berriot, Marie Jean Vinciguerra, John Woodhouse.

Rilevanti sono altresì le opinioni dello storico Mario Isnenghi e dello storico francese Jerome Grevy (Garibaldi, presses de sciences po).

Edoardo Salmeri morì a Nola, il 6 dicembre 1992. Giace nel cimitero della sua amata Villabate.

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